Vent’anni dopo: Il Bajazet a Venezia

Il Bajazet di Antonio Vivaldi sbarcò a Venezia nell’ottobre del 2007 nella revisione critica di Fabio Biondi, che salì anche sul podio. Oggi “adolescente” – sono passati precisamente sedici anni – Il Bajazet torna al Teatro Malibran per la Stagione 2023/24 del Teatro La Fenice nell’edizione critica curata da Bernardo Ticci e con protagonisti: Sonia Prina, Renato Dolcini, Loriana Castellano, Raffaele Pe, Lucia Cirillo e Valeria La Grotta. Il Bajazet di Vivaldi, diretto e concertato da Federico Maria Sardelli con l’Orchestra del Teatro la Fenice, ha visto impiegato anche il regista Fabio Ceresa, insieme con lo scenografo Massimo Checchetto, il costumista Giuseppe Palella e i designer Fabio Barettin (luci) e Sergio Metalli (video).
La recensione è della recita del 13 giugno 2024 e inizia riferendo in primis dei cantanti.

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Sonia Prina (Tamerlano) canta “Vedeste mai sul prato

Sonia Prina interpretava il ruolo en travesti principale: quello del conquistatore tartaro Tamerlano, e lo cantava con una voce di contralto che purtroppo non è più quella d’un tempo, avendo perduto alquanto in armonici e omogeneità e si percepiva l’emissione a volte faticosa, come gli acuti e i gravi non sempre perfettamente eseguiti. Peccato, perché Sonia Prina dava ben a intendere nel fraseggio e negli accenti quali potessero essere le giuste intonazioni stilistiche e musicali da riservare al “belcanto” e alla musica di Vivaldi, data l’esperienza della frequentazione di questo repertorio da oltre vent’anni. 

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Raffaele Pe (Andronico) canta “Quel ciglio vezzosetto

Intonazioni che ben conosce anche Raffaele Pe, che interpretava Andronico, il principe greco che a Tamerlano contende l’amore di Asteria; le ben mostrava soprattutto nell’esprimere la poetica “degli affetti” con l’accento languido e patetico del canto “a fior di labbra” e con la delicatezza con cui eseguiva le agilità “di grazia”; peccato però che il controtenore lodigiano incorresse talvolta in forzature tali da intaccare gli acuti e la levigatezza del timbro e della linea di canto.

Frontespizio del libretto per Il Bajazet – Teatro Filarmonico,
Verona 1735

In un canto varie volte spigoloso, dalle agilità non sempre scorrevoli e dai gravi a volte “aperti”, è incorsa il soprano Lucia Cirillo che impersonava Irene: la principessa di Trebisonda già promessa sposa di Tamerlano, ma rifiutata per la preferita Asteria. Difficoltà che si sono riscontrate nelle arie più virtuosistiche, come nella temibile e al limite dell’eseguibile “Qual guerriero in campo armato”; ma dove il canto si faceva più largo e disteso, languido e scopertamente dolente, come nella stupenda e suggestiva “Sposa son disprezzata”, Lucia Cirillo appariva meno in ambascia e il canto prendeva un po’ di morbidezza, facendosi meno tagliente soprattutto nel settore acuto.

La parte di Asteria, la figlia di Bajazet che Tamerlano vuole concupire sottraendola ad Andronico, era cantata dal contralto Loriana Castellano, dalla voce di bell’impasto scuro, morbida, fluida nelle agilità; gli acuti suonavano sicuri e l’accento si faceva all’occorrenza ora patetico ora veemente.
Il padre di Asteria, il sultano ottomano Bajazet protagonista dell’opera, sconfitto e fatto prigioniero dall’acerrimo nemico Tamerlano, che lo umilia anche nel pretendere la mano della figlia, era interpretato da Renato Dolcini. La voce del baritono milanese era di un bel colore ambrato e omogeneo, e congiuntamente all’emissione e al legato di buona impostazione si rivelava appropriata per i recitativi accompagnati e le arie di Bajazet, che richiedevano un fraseggio nobile e grave con accenti anche scanditi e incisivi.
Infine Idaspe il confidente di Andronico, anch’egli personaggio en travesti, era cantato dal soprano Valeria La Grotta con cura ma con una voce di piccolo volume.

Elenco dei personaggi e degli interpreti nel libretto per Il Bajazet – Teatro Filarmonico, Verona 1735

La trama del Bajazet di Antonio Vivaldi su libretto di Agostino Piovene è quella tipica di una tragedia per musica del Settecento, con scambi di identità, personaggi e coppie in crisi che si tradiscono e ingannano a vicenda; prevede finanche il suicidio del protagonista, che però non inficia il lieto fine con il ritorno alla pace e all’equilibrio iniziali, per un gesto di magnanimità dell’antagonista pentito. Una storia che il regista Fabio Ceresa ha cercato di raccontare coinvolgendo i cantanti che schierava in proscenio davanti ai leggii, con indosso abiti consueti come se stessero facendo una prova. Qui intonavano i recitativi, cui l’opera del Settecento demanda lo snodarsi della trama, per poi salire su un “immaginario” palcoscenico innalzato alle loro spalle, per esibirsi nei “pezzi chiusi”: i momenti isolati e privi d’azione ma con la musica che si fa portavoce dei sentimenti e delle emozioni in gioco.

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di A. Vivaldi
Il regista Fabio Ceresa

Così Ceresa con la complicità dei cantanti, attori provetti abbigliati quando salivano sul “palchetto” di fantasiosi costumi, creava tante “scene” (fantasiose anch’esse) quante sono le arie, le creava «secondo l’immagine che suggeriva la musica – come affermava il regista nel programma di sala – dimenticando il macrotesto e liberandola dal lucchetto dei recitativi, a volte decisamente stretto». Ecco allora i “siparietti” che raccontavano tante piccole storie o riflettevano sulle psicologie. Come quando Lucia Cirillo vestita a lutto, “ideale” Madonna dei Sette Dolori, sopra una gondola (evidente omaggio a Venezia) alla volta di un oscuro futuro, cantava “Sposa son disprezzata”: la luttuosa aria di Irene che diceva il dolore di una donna infelice rifiutata dall’uomo amato.
In altri “siparietti” le cose andavano in diversa direzione.

Ad esempio la morte di Bajazet veniva raccontata pensando a un video-gioco che l’eroe Super Mario non può portare a termine per la mancata disposizione di “vite” da giocare, come anche Asteria che cantava l’aria di furore “Stringi le mie catene” vestita di latex rosso e in versione sadomaso, immaginando di infliggere «tutte le torture» a un protervo Tamerlano, che la pretendeva in moglie. “Siparietti” di un rinnovato Carosello che destavano stupore e applausi (nella giusta prospettica del teatro barocco) ma che a lungo andare apparivano ardite e ingegnose invenzioni registe, anche non sempre chiare e precise, che eludevano la narrazione (il «macrotesto» di Ceresa) tradendo con una certa frequenza la drammaturgia voluta da Piovene e Vivaldi.

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Renato Dolcini (Bajazet)

Il Bajazet di Antonio Vivaldi è opera di «grande potenza musicale», stando alle dichiarazioni di Federico Maria Sardelli, che la considera uno dei migliori esempi della «tarda maturità» di un autore geniale «in continua evoluzione». La si riscontrava questa “forza” nel calore che Sardelli faceva emergere dalla conduzione, affidandola perlopiù a sonorità vibranti e appassionate, che a ben comprendere basterebbe un solo esempio: il ritmo sostenuto e l’energia che si riscontravano nell’accompagnamento “marziale” di “Sposa son disprezzata”, che diventava un drammatico lamento dal suono forte e duro come un grido, anziché la sdilinquita patetica querimonia che solitamente si sente intonare. La si scopriva nell’attenzione che Federico Maria Sardelli riservava ai dettagli orchestrali e ai preziosismi strumentali, come accadeva per il basso continuo, qui privato delle classiche tiorba e chitarra, perché all’epoca della composizione del Bajazet Sardelli, da scrupoloso studioso del teatro “barocco” e settecentesco qual è, sa bene che erano strumenti che nelle orchestre veneziane non comparivano più da tempo. Così che il suono che saliva dalla buca del Teatro Malibran era differente da quello “antico” solito, ora probabilmente più vicino a quello originale. Un suono che appariva più preciso e netto, più incisivo e penetrante, perfettamente aderente al dramma potente che si stava rappresentando. Unico neo: l’andamento narrativo che si voleva teso e stringente, e che si è trovato tagliando molti recitativi, eseguendoli anche a un ritmo sostenuto e incalzante, con il difetto di renderli poco udibili e poco comprensibili.

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Il maestro direttore e concertatore Federico Maria Sardelli

Difficoltà che tuttavia sparivano all’ascolto delle arie. Sardelli ne ben curava il dispiegarsi delle melodie, attendendo in modo speciale al fraseggio, spingendo i cantanti a variarlo con accenti e colori aderenti al testo e ai suoi significati più veri, ricreando poi in orchestra le giuste atmosfere entro le quali questo canto aveva ragione di nascere e svilupparsi.
Come ben dimostrava l’esecuzione di “Sposa son disprezzata” ormai presa a paradigma della poetica di questo Bajazet al Teatro Malibran di Venezia.

Il Bajazet è una tragedia per musica in tre atti di Agostino Piovene con musiche di Antonio Vivaldi, che ebbe la sua prima assoluta durante il Carnevale del 1735 nel Teatro Filarmonico di Verona. Non era la prima volta che il testo di Piovene veniva messo in musica: iniziò Francesco Gasparini nel 1711, continuò Georg Friedrick Händel nel 1724 e da ultimo se ne occupò Antonio Vivaldi. Nel Settecento era una consuetudine che uno stesso libretto venisse musicato da più autori. Svariati erano i motivi: tornare sulla cresta dell’onda con un titolo di successo del passato, oppure dare nuova linfa a un titolo sfortunato, o ancora soddisfare le richieste di un pubblico esigente, i cui gusti andavo cambiando e anche rapidamente. Sempre però tenendo in gran conto il botteghino. Non a caso Vivaldi ricorse al Bajazet quando la sua stella si stava offuscando e lasciò Venezia per cercare nuovi successi altrove: a Verona e in un teatro del quale era pure impresario. E vi ricorse secondo la prassi dell’epoca: riscrivendo Il Bajazet di Agostino Piovene. Iniziando con il curare in modo particolare i recitativi – importantissimi per il “prete rosso” dall’infallibile senso del teatro – intervenendo direttamente nel testo: sostituendo un termine o riformulando un verso, per dare la maggior efficacia drammaturgica alla corrispondenza tra parola e musica, come sostiene Sardelli nel programma di sala.
Vivaldi si diede a realizzare una partitura con musica scritta per l’occasione e con altra (la parte maggiore) scelta accuratamente tra le sue più significative pagine composte in precedenza. Si trattò di dodici arie pensate per Bajazet, per la figlia Asteria e per il consigliere Idaspe. Personaggi interpretati da cantanti prestigiosi.
Tra questi svettava il mezzosoprano mantovano Anna Girò, la pupilla di Vivaldi e sua musa ispiratrice, dal canto appassionato e veemente, in possesso pure di notevoli doti d’agilità e coloratura, che prima di interpretare la nobile e fiera Asteria si fece conoscere a Verona nel 1734 cantando nell’Arsace di Orlandini e in Lucio Papiro di Giacomelli.

Pier Leone Ghezzi: Caricatura di Antonio Vivaldi

C’era poi il veneziano Marc’Antonio Mareschi un tenore in grado di sostenere anche ruoli di basso-baritono come è quello di Bajazet, la cui collaborazione con Vivaldi iniziata nel 1734 con L’Olimpiade terminerà l’anno successivo con L’Adelaide.
E c’era infine il soprano castrato Pietro Morigi, giovanissimo e già bravissimo (la sua aria “Anch’il mar par che sommerga” è di enorme difficoltà) che interpreterà ancora il ruolo di Idaspe nell’Ascanio in Alba di Mozart nel 1771. Circa quarant’anni dopo.

Rimanevano per gli altri personaggi sette arie, che Vivaldi scelse con cura tra la produzione di successo di tre giovani compositori molto in voga nella prima metà del Settecento: Johann Adolf Hasse, Geminiano Giacomelli e Riccardo Broschi, fratello del castrato Farinelli. Arie che Vivaldi adottò anche pensando alle caratteristiche vocali dei cantanti ingaggiati. Ad esempio alla talentuosa Margherita Giacomazzi, che fu Irene, Vivaldi le fece cantare “Qual guerriero in campo armato” tratta da Idaspe di Broschi e “Sposa son disprezzata” da Merope di Giacomelli, entrambi cavalli di battaglia del mitico Farinelli. E fu così entusiasta del risultato che scritturò la Giacomazzi per altre cinque sue opere: L’Adelaide e Griselda ancora nel 1735; e poi Armida al campo d’Egitto, L’Oracolo in Messenia e Rosmira debuttate tutte a Venezia nel 1738.

Pier Leone Ghezzi: Caricatura di Geminiano Giacomelli

Nessun entusiasmo da parte di Vivaldi invece per l’altro soprano castrato: il marchigiano Pietro Morigi che interpretava Andronico. Per lui nessun ingaggio successivo al Bajazet, soltanto un personale tentativo di farsi emulo dei grandi divi della prima metà del Settecento, ma con risultati non memorabili. 
L’entusiasmo non mancò per Maria Maddalena Pieri detta «La Polpetta» che indossò i panni di Tamerlano, dopo aver già cantato per Vivaldi in Dorilla in Tempe (Venezia 1726) in Farnace (Venezia 1726) e in Semiramide (Mantova 1732). La Pieri era un contralto fiorentino dotata di autorevolezza vocale e di grande presenza scenica, in perfetto agio nei ruoli en travesti e dallo stile di canto non troppo dissimile da quello di Anna Girò, con la quale cantò spesso senza evitare tuttavia di entrare in competizione.

Venezia, Teatro Malibran: Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Il cast

Alla fine dunque Il Bajazet di Agostino Piovene e Antonio Vivaldi più che un’opera “nuova” (doveva aprire la stagione di Carnevale del Filarmonico) risultò essere un pastiche: un assemblaggio di pezzi di varia natura e provenienza, culturalmente aggiornato con le musiche dei talenti più giovani. Un pastiche che aveva una sua intrinseca logica. Da una parte il mondo formato da personaggi “buoni” di alta moralità – Bajazet, Asteria e Idaspe – che si esprimevano con le note di Antonio Vivaldi e dall’altra un microcosmo di “cattivi” egemone e dominante, – Tamerlano, Irene e Andronico – che cantava con musiche di autori di formazione e derivazione diverse da quelle di Antonio Vivaldi: Johann Adolf Hasse, Geminiano Giacomelli e Riccardo Broschi. Le meraviglie del mondo “antico” che si specchiavano nelle sorprese e nelle novità delle “altre” musiche, così come i cantanti affermati fronteggiavano quelli emergenti, con immutato e rinnovato stupore. Di cui Vivaldi ci dava conferma nel breve e festoso lieto fine, proclamato dai cantanti tutti: «Coronata di gigli e di rose, cogli amori ritorni la pace: e fra mille facelle amorose perda i lampi dell’odio la face».
Era forse a questo armonico sincretismo, che alludeva la conclusione del Bajazet di Ceresa-Sardelli al Malibran di Venezia per la Stagione 2023/23 del Teatro La Fenice. Con i sei cantanti schierati al proscenio che cantavano: «Coronata di gigli e di rose…», mentre sullo sfondo appariva la scritta «That’s all falks…»: la celebre frase che chiudeva i cartoni animati della Warner Bros. negli anni 30-60 del secolo scorso. Uno spettacolo nato e condotto con molta probabilità – al di là di tutte le “riflessioni” fin qui tratte e con tutte le perplessità e le “originalità” di cui s’è detto – con un unico e principale intento: divertire e stupire il pubblico di oggi come quello di ieri si dilettava e meravigliava con Il Bajazet di Antonio Vivaldi e Agostino Piovene. E anche riuscendoci, stando al pubblico accorso numero al Teatro Malibran che ha riso e ha applaudito fragorosamente e felicemente sia in corso d’opera sia alla fine.

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